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Emilio Lussu, Marcia su Roma e dintorni

Tanto per buttarla subito in politica, ho immaginato Emilio Lussu (scrittore e politico sardo, mio conterraneo, eroe di guerra e fondatore del Partito Sardo d’Azione) rivoltarsi nella tomba dopo che nella mia Regione il partito da lui fondato ha preso la strada che tutti sappiamo. Questa mia affermazione ritengo sia del tutto inattaccabile, in qualsiasi modo uno possa pensarla.
Scritto ormai quasi novant’anni fa, poco dopo l’instaurarsi della dittatura fascista e a seguito della rocambolesca fuga dal carcere di Lipari, dove Lussu venne confinato dal regime, Marcia su Roma e dintorni racconta con un linguaggio semplice, diretto e ironico, l’ascesa per nulla inarrestabile di Benito Mussolini. Si, avete letto bene: “per nulla inarrestabile”, e se avrete la bontà di leggere questo libro, che mi auguro nel frattempo non sia sparito dalle antologie scolastiche (ma credo di si, visto l’andazzo), capirete a cosa mi riferisco. Continua a leggere

Enrico Costa, Il Muto di Gallura

Il Muto di Gallura è un racconto storico pubblicato di forma di romanzo nel 1884 dal sassarese Enrico Costa, scrittore, giornalista, studioso, operista, poeta, nonché tesoriere della Banca di Sassari, che visse tra la metà del 1800 e i primi del 1900, scopritore e “maestro” di Grazia Deledda.
Raccontato in prima persona dal Costa stesso, nella veste di storico narratore, il libro descrive le vicende e i protagonisti della faida che insanguinò il paese di Aggius e gli “stazzi” limitrofi tra il 1850 e il 1856, e che causò la morte di circa settanta persone. Protagonista in negativo di questa carneficina è il bandito Bastiano Tansu, sordomuto dalla nascita. Sicario al soldo di una delle due famiglie rivali, tanto feroce quanto disperato, in lui convivono l’istinto animale e la lucida disperazione di chi non sa e non può comunicare. Unica fiamma che illumina la sua esistenza è l’amore che prova per una giovane fanciulla, Gavina, bella e irraggiungibile. Continua a leggere

Umberto Eco, Il Cimitero di Praga

Dico subito che la lettura di questo libro mi ha preso molto, troppo tempo. Più volte mi sono trovato sul punto di cedere, metterlo da parte e ripromettermi di finirlo “più in la” (mentendo spudoratamente a me stesso). E invece no: da buon sardo – tanto per citare un abusato luogo comune – mi ci sono intestardito, e finalmente sono arrivato all’ultima pagina, col fiatone. Ne è valsa la pena? Vediamo.
Il Cimitero di Praga narra le vicende di tal Simone Simonini: una sorta di notaio, truffatore, falsario e agente segreto piemontese poi trapiantato in Francia, transitoriamente schizofrenico e vagamente psicopatico, coinvolto in tutta una serie di fatti storici realmente accaduti. Si va dalla caduta di Napoleone III, alla Spedizione dei Mille, alla Comune Parigina, alle trame della Chiesa, dei Gesuiti, dei Prussiani, della Polizia Zarista; si finisce col narrare le vicende legate ai falsi storici dei Protocolli dei Savi di Sion e dei culti Palladiani, Luciferini e della Massoneria più o meno coperta, fino al crescente antisemitismo, quello che pochi decenni dopo sfocerà nella Soluzione Finale. Questo in estrema sintesi.
Il romanzo è narrato in prima persona da Simone Simonini e dal coprotagonista Abate dalla Piccola, in buona parte in forma di diario e scambio epistolare (i due sono “strettamente” legati), e dalla terza figura del narratore anonimo.
Simone Simonini e l’Abate sono personaggi inventati, ma ispirati a figure realmente esistite, che soltanto uno studioso risorgimentale può sperare di riuscire a individuare. Sempre che di personaggi risorgimentali si tratti. In realtà Simone Somonini pare l’alter ego di alcuni personaggi assolutamente attuali, almeno nei modi e nell’intendere potere e politica.
Se non si è, come già detto, studiosi risorgimentali, conviene leggere il Cimitero di Praga di fianco al computer. Si potrà così scoprire che tutti gli altri personaggi citati nell’opera sono realmente esistiti. A parte quelli famosi (Garibaldi, Ippolito Nievo, Bixio, Freud, Dreyfus, ecc.), faremo la conoscenza di personaggi storici alquanto singolari, quali ad esempio gli scrittori Leo Taxil e Hermann Goedsche, e il satanista Joseph-Antoine Boullan.
Oltre all’impeccabile ricostruzione storica, Eco si diverte a inserire nel suo romanzo numerosi riferimenti alla cucina francese dell’epoca, interessanti digressioni sulla scienza degli esplosivi, e scampoli dell’imminente irruzione della modernità (la metropolitana, la posta pneumatica, le navi a vapore…). Ad arricchire e inframezzare il tutto, una ricca serie d’illustrazioni e stampe d’epoca.
Insomma, un’opera quasi enciclopedica condensata, si fa per dire, in poco più più di 500 pagine che, come dicevo in apertura, non è stato facile portare a termine. Primo perché 520 pagine non sono poche (il Pendolo di Focault superava le 700 pagine, e lo lessi in una settimana, ma erano altri tempi); secondo perché le citazioni e i fatti narrati sono davvero tanti, e una ripassatina di storia ogni tanto s’è resa necessaria; terzo, perché come negli altri romanzi di Eco, i dialoghi la fanno da padrone, e leggere pagine e pagine di botta e risposta alla fine stanca (a me fa questo effetto).
Quindi, tornando alla domanda iniziale, ne è valsa la pena? Se si parte dal presupposto che ogni libro letto rappresenta un arricchimento, diretto o indiretto, allora la risposta non può che essere affermativa. Se invece ci limitiamo a valutare la godibilità dell’opera, bè, che vi devo dire? Ne è valsa comunque la pena: alla fine è un bel romanzo. Sinceramente.
Ma che fatica, però!