Massimo Fini, Una Vita: un libro per tutti, o per nessuno.

Bellissima autobiografia di Massimo Fini, che ho letteralmente divorato.
Massimo Fini è in testa a una delle mie tante categorie di “preferiti”, quella dei giornalisti. Mi piace perché è un ribelle, un anarchico. Non è etichettabile. Non lo si può collocare né a destra né a sinistra, né tanto meno al centro, come un Galli della Loggia qualsiasi. È un “antipatizzante” del berlusconismo (e già questo me lo fa piacere), ma certo ha poco a che vedere con i dogmi e i rituali della sinistra. È ateo e figlio di un’ebrea russa, e ha scritto un libro dedicato al Mullah Omar, che lui considera un eroe. Insomma: è uno di quei pochi giornalisti totalmente liberi, forse l’ultimo rimasto in Italia. E tutto questo l’ha pagato con l’emarginazione.

“È che con l’ambiente ‘radical chic’ non ho proprio nulla a che fare. Anche se mi chiedo, a volte, qual è il mio ambiente, avendoli via via rifiutati tutti.
Onestamente non posso lamentarmi se sono finito isolato e emarginato. Scalfari poi, che è un calabrese vendicativo, non me l’ha mai perdonata”

Pur interessandomi di politica e società da più di vent’anni, e a lungo gran divoratore di quotidiani e settimanali (per anni ho letto La Repubblica, il Corriere e La Stampa, L’Espresso e Panorama) non mi sono accorto dell’esistenza di Massimo Fini al 2004, anno in cui viene coinvolto in un penoso caso di ostracismo politico, quando un programma televisivo di cui doveva essere interprete e autore (Cyrano, se vi pare) venne cancellato dai palinsesti Rai per compiacere il nano, come al solito. La cosa fece un po’ di rumore, un’inezia tuttavia rispetto al clamore suscitato dall’editto bulgaro di cui fecero le spese Santoro (marginalmente, tutto sommato), Biagi e soprattutto Luttazzi.
Così venni a conoscenza di questo giornalista, editorialista e saggista particolarmente originale e acuto. Ma è soltanto negli ultimi tre o quattro anni che sono diventato un suo lettore attento. Non solo: un vero e proprio ammiratore. E mi fa rabbia sapere che per via del grave problema che l’ha reso quasi cieco abbia praticamente appeso gli scarpini al chiodo. Non è giusto. Dopo aver perso i tre vecchi del giornalismo italiano – Montanelli, Biagi e Bocca – Fini avrebbe dovuto raccoglierne l’eredità, in attesa della maturazione e consacrazione delle nuove leve, quelli della generazione dei Travaglio, per intenderci.
Non sarà così. Un vero proprio delitto, un vuoto incolmabile.

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