Lawrence Wright, Pandemia

Cosa poteva leggere un appassionato di fantascienza distopica e apocalittica durante il lockdown decretato la scorsa primavera? Un romanzo che si intitola, appunto, Pandemia, scritto poco prima dell’avvento del SARS-COV-2 da Lawrence Wight, autore statunitense già Premio Pulitzer.
Il romanzo anticipa in maniera dettagliata praticamente tutto quello a cui siamo andati in contro, e che continuiamo a vivere ancora oggi. Dal distanziamento sociale, all’uso delle mascherine, dalla carenza di posti nelle terapie intensive alle politiche di lockdown. Poi però nel romanzo le cose peggiorano, e di brutto, a causa degli elevati tassi di mortalità e contagiosità del virus immaginato da Wight. Non solo: a un certo punto anche le grandi potenze mondiali, colla situazione totalmente fuori controllo, iniziano a guardarsi in cagnesco, e ad abbaiare…
Il protagonista è il Dottor Henry Parsons, epidemiologo di fama mondiale, il cui handicap fisico non gli ha impedito di costruirsi una carriera prestigiosa e mettere su una tipica e stereotipata famiglia americana, con figlia teenager ribelle e fratellino rompiscatole. E sono proprio le vicende della famiglia, rimasta negli Stati Uniti, a fare da contraltare alla missione impossibile che il Dottor Parsons dovrà affrontare in giro per il mondo: trovare l’origine del virus e, cercare una possibile cura ed evitare che politici e governanti mandino tutto a putt ramengo.
lawrence wright - pandemiaLibro piacevole (artisticamente parlando, s’intende), scientificamente ineccepibile e caratterizzato da un buon ritmo.
Come ho scritto all’inizio, ho letto il romanzo nel momento peggiore della pandemia. Durante l’estate le cose sono decisamente migliorate, salvo peggiorare nuovamente in queste ultime settimane. Ora si naviga nuovamente a vista, in attesa di un vaccino che non si sa se sarà realmente efficace, mentre i governi sono indecisi tra il proclamare un lockdown generalizzato o far finta che il tutto sia più o meno gestibile. Può sembrare una battuta fuori luogo (e lo è, mi rendo conto), ma mai come oggi “chi vivrà vedrà”.

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