Archivio mensile:Maggio 2016

“Il Canile” selezionato per lo Speciale SF n. 3 della Writers Magazine

writers magazine speciale sfIl mio racconto inedito “Il Canile” è stato selezionato per la pubblicazione tra i 50 racconti del Terzo Speciale SF della Writers Magazine Italia. Avevo già partecipato sia al primo che al secondo contest. Nel primo presentai tre racconti. Vennero scartati in sequenza (il regolamento prevede la presentazione di un racconto alla volta, e se si viene scartati si può provare con un nuovo tentativo), tuttavia il terzo – Il Promontorio – rientrò tra i 200 racconti raccolti per l’antologia Il Magazzino dei Mondi n. 1. Fu il mio primo racconto ad essere pubblicato.
Nel secondo speciale feci nuovamente tre tentativi, e al terzo – con il racconto Un Tenue Bagliore Azzurro, forse il migliore che abbia mai scritto – centrai la pubblicazione tra i cinquanta (poi “cresciuti” a 70) selezionati per la rivista (foto a lato). Tutti e tre i racconti – questo e questo gli altri due – finirono poi nell’antologia Il Magazzino dei Mondi n. 2.
Per questo terzo speciale sono stato selezionato al primo tentativo, il che mi riempie d’orgoglio e mi fa capire che, probabilmente, la mia micro produzione letteraria sta migliorando. Ho scritto anche un secondo racconto di riserva che, se la redazione riaprirà le selezioni per gli autori già passati tra i 50 per la rivista, proporrò per la pubblicazione nel Magazzino dei Mondi n. 3.

Massimiliano Santarossa – Metropoli

Questo articolo è stato scritto originariamente l’27 maggio 2015 e oggi – maggio 2016 – ripreso, rivisto e ampliato per la rivista online Adromeda.

Sarò poco originale, ma anch’io non posso fare a meno di sostenere, come hanno fatto altri recensori, che questo romanzo deve molto, moltissimo ai classici distopici della prima metà del secolo scorso: ZamjatinHuxleyOrwell e, poco dopo il 1950, Bradbury. Non solo: durante la lettura ho colto evidenti richiami alla fantascienza sociologica degli anni 60/70, alla Herry Harrison per intenderci, con chiari riferimenti ad alcune tematiche affrontate nel romanzo Largo! Largo!, dal quale è stato tratto il film cult con Charlton Heston2022: I sopravvissuti“. Ipotizzo che Massimiliano Santarossa, l’ottimo autore di questo Metropoli, per la stesura del suo romanzo abbia attinto più o meno consapevolmente dal ricordo che conservava del film suddetto.
Vale la pena riassumere subito la storia. A seguito di un catastrofico e più volte citato collasso produttivo – una sorta di evoluzione iperbolica dell’attuale crisi economica – il mondo è piombato in un’irreversibile dissesto ambientale, economico e sociale. La temperatura media del pianeta è crollata, gli stati e le istituzioni sono collassati, la maggior parte delle specie viventi estinte. Sopravvivono nella miseria e nella barbarie pochi esseri umani, tormentati dal freddo e dalla fame.
L’unica speranza per chi prova a sopravvivere consiste nel tentare di raggiungere la città fortificata di Metropoli. Continua a leggere

Walter Tevis – Solo il mimo canta al limitare del bosco

La lettura de Solo il mimo canta al limitare del bosco di Walter Tevis ha portato la mia memoria in dietro di decenni. Anni eroici nei quali passavo il tempo a scartare i pacchi postali che il postino mi recapitava con cadenza quasi settimanale. All’epoca ero cliente abituale di Nord e Fanucci, ma acquistavo anche i volumi di collane già estinte ma col servizio arretrati ancora attivo, come la celebre Galassia de l’Editrice La Tribuna. Frequenti erano le mie scorribande per librerie e edicole, dove facevo incetta di Urania e Oscar Mondadori come se non ci fosse un domani, e non disdegnavo le edizioni rilegate Mondadori e Rizzoli.
Il tutto durò meno di dieci anni, poi iniziai a lavorare stabilmente e i ritmi di lettura inevitabilmente calarono, finché non mi bloccai quasi del tutto: tra il 1997 e il 2002 lessi davvero poco, per poi riprendere gradualmente ma senza quegli eccessi giovanili.
Walter Tevis lo scoprii intorno ai primi anni ’90, quando lessi del tutto casualmente, e a poca distanza l’uno dall’altro, l’antologia Lontano da Casa e i due romanzi L’Uomo che Cadde sulla Terra (capolavoro assoluto, così come il cult movie con David Bowie che ne è stato tratto qualche anno dopo), e l’ottimo A Pochi Passi dal Sole, libro pubblicato su Urania una volta soltanto, nel 1992, e che a mio avviso sarebbe il caso finalmente di riproporre.
In pratica, 4/3 della produzione fantascientifica di Tevis l’avevo già fatta mia più di 25 anni fa, e mi mancava soltanto questo Solo il mimo canta al limitare del bosco. Per qualche motivo, tuttavia, ne rinviai per troppo tempo l’acquisto. Probabilmente l’editore Nord all’epoca non lo aveva più in giacenza, in libreria non si trovava più, e l’osceno titolo Futuro in Trance*, con il quale Mondadori lo ripropose in un paio di edizioni Urania e in un Oscar, me lo resero indigesto. Errore madornale.
Ho acquistato questo libro in ebook qualche mese fa, ciononostante l’ho messo in coda per dedicarmi alla lettura di alcuni romanzi più recenti. Purtroppo, passati gli anni eroici di cui sopra, ho perso interesse verso la fantascienza “vecchia”, per via del fatto che buona parte di quanto scritto fino all’inizio degli anni ottanta risulta ormai superato dal punto di vista tecnologico. Certo, non ci sono ancora in viaggi intergalattici, ma le tecnologie che hanno a che fare col quotidiano hanno reso eccessivamente obsolete buona parte delle previsioni fatte dai gradi scrittori di SF, fino a farle apparire estremamente ingenue, e questo un po’ mi fa storcere il naso. Per fortuna, prima di maturare nuovi interessi, di buona fantascienza posso dire di averne letto davvero tanta.
Mi mancava giusto Il mimo: un romanzo stupendo, malinconico, a tratti struggente e con un finale bellissimo, che m’ha fatto accapponare la pelle (letteralmente, reazione che ho sperimentato in vita mia non più di una decina di volte, una volta arrivato alla fine di un libro).
Tuttavia, prima che il libro iniziasse a ingranare, ci sono voluti almeno quattro o cinque capitoli di “assestamento”. Dopodiché, la voglia di riprendere il libro in mano ad ogni minima occasione s’è fatta irrefrenabile.

La sinossi in poche parole, senza spoiler: tra qualche centinaio di anni, in una Terra ormai spopolata, gli uomini vivono un’esistenza tranquilla: le droghe legali, la privacy, il “sesso rapido” ed una relativa stabilità economica, rendono la vita di ogni singolo individuo tanto semplice quanto piatta e monotona, e l’unica alternativa allo status quo consiste nell’immolarsi, bruciarsi vivi, come sempre più persone scelgono di fare, senza che questo desti il minimo interesse.
Il tutto viene regolato, controllato e pianificato dai Robot, di cui Spofforth ne rappresenta l’esemplare più evoluto. Dalle bellissime sembianze perfettamente umane, ma privo di organi genitali, Spofforth, creato per servire gli uomini e al quale vengono assegnati col tempo incarichi sempre più importanti e determinanti per le sorti del pianeta, vorrebbe porre fine alla proprie esistenza, ma la sua programmazione glielo impedisce: finché ci saranno uomini sulla terra, lui dovrà vivere per servirli.
Paul Bentley è invece un professore universitario (alter ego dello scrittore?) che su incarico di Spofforth visiona decine di vecchi film, e per capire il senso delle didascalie dei primi film muti, rimpara a leggere e scrivere, abilità ormai perse nel futuro immaginato da Tevis (ho fatto un po’ fatica, dal punto di vista logico/scientifico, a digerire questo aspetto del romanzo).
Mary Lou è invece una giovane donna, una vagabonda che in qualche modo è riuscita a sottrarsi al “controllo” e a vivere indipendentemente. Paul incontra Mary allo zoo, uno zoo finto, dove animali e bambini sono in realtà dei robot.
I due iniziano una relazione. Grazie agli insegnamenti di Paul, anche Mary Lou impara a leggere e scrivere. Ma Spofforth non può permettere tutto questo, e farà in modo che Paul venga processato e imprigionato in un carcere da dove poi tenterà la fuga. Spofforth porta Mary Lou a vivere con se, e lei nel frattempo scopre di aspettare un bambino: sarà l’ultimo esemplare della razza umana, in un mondo giunto al capolinea e dove i bambini non esistono più?solo il mimo canta al limitare del bosco
Il romanzo è narrato alternativamente in prima persona da Paul e Mary Lou , mentre i capitoli dedicati a Spofforth vengono narrati in terza persona. L’alternanza dei punti di vista non fa che impreziosire la lettura dell’opera.
L’edizione è corredata da una ricca prefazione di Goffredo Fofi (da leggere DOPO aver letto il romanzo), una presentazione (abbastanza inutile) di Jonathan Lethem e da un profilo bio-bibliografico.
Aggiungo infine che benché non possa pretendere che questo libro piaccia a tutti, ritengo che meriti il suo posto nella libreria di ogni vero appassionato di fantascienza. Si tratta di un vero classico del genere, un romanzo importante scritto sulla scia del Il Mondo Nuovo, 1984 e soprattutto Fahrenheit 451. Fidatevi.

* Non si offenda nessuno, specie se tra i miei “amici” su FB…

Mauro Corona – La Fine del Mondo Storto

Questo articolo è stato scritto originariamente l’8 dicembre 2010 e oggi – maggio 2016 – ripreso, rivisto e ampliato per la rivista online Adromeda.

Con La Fine del Mondo Storto di Mauro Corona non abbiamo a che fare con un romanzo vero e proprio, e neanche con un saggio. Quella che ci racconta lo scrittore è invece una bella fiaba, priva del classico lieto fine. Il tema apocalittico (il solito tema apocalittico, verrebbe da dire, tanto caro agli scrittori mainstream), è stato sviluppato da Corona senza l’ausilio di rigorosi studi scientifici, analisi sociologiche o proiezioni storiografiche.

Semplicemente, Corona immagina che un giorno, d’improvviso, i combustibili fossili spariranno dalla faccia della Terra, con tutte le conseguenze nefaste del caso. Il tema era già stato trattato dal celebre scrittore/alpinista qualche anno prima, in forma di racconto, e pubblicato nelle pagine culturali de La Repubblica.
Corona auspica un ritorno dell’uomo alla natura, sennonché è proprio la natura, in questo caso quella umana, ad apparire inesorabilmente votata all’autodistruzione.

Il libro è privo di protagonisti veri e propri, i dialoghi sono rari e non esiste un unico filo conduttore, un plot, che leghi le tante vicende narrate dall’autore. Semplicemente, si tratta della cronistoria di tutto quello che accadrà quando mancherà l’energia elettrica, si spegneranno le luci, e l’uomo non saprà più come fare per riscaldarsi e sfamarsi. I sopravvissuti dovranno pertanto imparare a procurarsi il cibo, piantare un orto, seminare i campi, accendere e mantenere vivo un fuoco. E dovranno farlo con la giusta umiltà, e con il rispetto dovuto a chi può trasmettere tutti questi insegnamenti. I furbi e gli approfittatori, manco a dirlo, non fanno una bella fine.

Ovviamente lo sguardo che Corona rivolge al futuro deriva dalla sua visione politica, il che è evidente nella descrizione di certi personaggi che paiono ispirati ad alcune figure istituzionali e imprenditoriali del nostro presente facilmente identificabili. Così come chiaro e inequivocabile è il giudizio che ne dà l’autore, che tuttavia non si limita a criticare tali figure, ma estende le sue valutazioni verso intere categorie sociali. Corona ne ha per tutti: giornalisti, ingegneri, padroni e tecnocrati, e nel farci capire quale considerazione abbia di questi individui è decisamente schietto, come ci si aspetta da lui. Soltanto contadini e montanari paiono a loro agio nel nuovo mondo post apocalittico, e Corona li mette in un piedistallo, facendone i nuovi padroni del mondo, quelli ai quali rivolgersi (con rispetto, e senza dargli troppo fastidio) per imparare a sopravvivere.

Lettura leggera, a tratti divertente, spesso comica, saltuariamente ripetitiva. Gradevole lo stile di scrittura, anche se a volte l’autore indugia un po’ troppo in elenchi e sinonimi.

Vale la pena affrontare la lettura di questo libro, consci del fatto che non si è di fronte a un capolavoro, aggettivo spesso utilizzato per definire altre opere di Corona. Un buon libro, insomma, niente di più e niente di meno.