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Vincenzo Meleca, Il potere nucleare delle Forze Armate Italiane (1954-1992)

Libro letto col solo scopo di approfondire una tematica che potrebbe tornarmi utile nella scrittura di un ipotetico romanzo ucronico, romanzo che al momento ho soltanto abbozzato, e che se ne sta chiuso in un cassetto da una ventina d’anni, in attesa di tempi migliori. Velleità artistiche a parte, in realtà l’argomento mi ha sempre affascinato. In sostanza, mi sono sempre chiesto se l’Italia, di nascosto e in violazione dei trattati internazionali, non sia stata una piccola potenza nucleare, dotata di armamenti di provenienza USA, che in caso di necessità avrebbe potuto utilizzare per conto proprio, anche in mancanza del nullaosta statunitense. Dopo la lettura di questo testo, fin troppo didascalico, potrei rispondere affermativamente alla prima domanda e negativamente (ma sarei tentato dal “forse”) alla seconda. Un altro dubbio che però non sono riuscito a togliermi è se l’Italia sia mai stata in grado di assemblare per contro proprio un ordigno nucleare. Vincenzo Meleca, Il potre nucleare delle forze Armate italiane (1954-1992)In passato lessi alcuni articoli che suffragavano questa ipotesi. Qualche commentatore s’era spinto ad affermare che, in realtà, “qualcosa” era stata progettata, e forse persino costruita e poi subito smontata, al CAMEN, Centro di applicazioni militari dell’energia nucleare, vicino Pisa. Sicuramente è stato costruito, progettato e sperimentato un vettore balistico a doppio stadio, il missile ALFA, che si prestava bene allo scopo. Ma sto divagando.
Tornando al libro in questione: si tratta di un testo tecnico, sicuramente dettagliato e approfondito, accessibile anche ai profani. Tuttavia, a meno che non abbiate intenzione di scrivere un’ucronia nuclearitaliana del secolo scorso, potete tranquillamente trascurarne la lettura.

Ian McEwan, Macchine come me

Hai voglia a dire che Macchine come me di Ian McEwan non è fantascienza. Lo è eccome! Come definire diversamente un romanzo sapientemente ambientato in un universo ucronico e che annovera tra i protagonisti un androide?
Eppure, a partire dall’autore stesso, la definizione di romanzo fantascientifico non è stata quasi mai utilizzata per indicare il genere letterario nel quale può essere annoverata quest’opera. Solito atteggiamento snob nei confronti di un genere popolare, o esigenze commerciali da salvaguardare? Direi entrambi…
Ci troviamo in una realtà alternativa, il cui POV (point of divergence) parte dalla scelta fatta dal genio matematico e padre dell’informatica Alan Turing (quello di Enigma, per intenderci) di accettare la pena detentiva, comminatagli a causa di una condanna per omosessualità, anziché sottoporsi alla castrazione chimica, sopravvivendo così a quella depressione che nel nostro continuum pose fine alla sua esistenza a soli 41 anni. Grazie al lavoro del Turing “sopravvissuto” il progresso tecnologico ha subito un’incredibile accelerazione, tanto che nel 1982 ucronico immaginato da McEwan sono già disponibili le tecnologie che nel nostro presente verranno introdotte molto più tardi: internet e i social network, telefoni cellulari, autoveicoli a propulsione elettrica e quant’altro. Ma le differenze non si limitano soltanto alla tecnologia: missili di fabbricazione francese forniti al governo argentino e dotati di intelligenza artificiale hanno disintegrato la flotta britannica salpata per le Isole Falkland, determinando la vittoria dell’Argentina nella breve guerra contro il Regno Unito. Il premier Margaret Tatcher si trova così in enorme difficoltà, incalzata peraltro da una situazione economica e sociale precaria, con frequenti disordini di piazza e la disoccupazione arrivata livelli incontrollabili. Nel mentre i Beatles, nuovamente riuniti a dieci anni dallo scioglimento, riprendono a mietere successi; il laburista anti europeista Tony Benn si candida a sostituire la Lady di Ferro; negli USA Jimmy Carter sconfigge Ronald Reagan. Continua a leggere

Paul Auster, Uomo nel buio

Dopo aver letto Uomo nel buio, romanzo minore del celebre e prolifico scrittore newyorchese Paul Auster, ho avuto l’impressione che l’autore in un primo momento avrebbe voluto scrivere un’opera fantascientifica, sottogenere ucronico, ma poi ci abbia ripensato, virando verso la solita saga familiare in formato pocket, considerando le sole 152 pagine dell’edizione cartacea.
August Brill è un anziano critico letterario, costretto su una sedia a rotelle a causa di un grave incidente automobilistico. A seguito di una serie di lutti e divorzi che hanno coinvolto sia lui che la sua discendenza, si ritrova ad affrontare la vecchiaia sull’orlo di una depressione che lo porta a soffrire d’insonnia. Durante le notti passate a rimuginare cerca di ingannare il tempo immaginando storie e situazioni di fantasia. In una di queste, che al lettore appare come un romanzo dentro il romanzo, il protagonista è Owen Brick, un prestigiatore che improvvisamente si trova catapultato in una realtà alternativa. Nell’ucronia immaginata da August Brill/Paul AusterGeorge W. Bush ha perso le elezioni presidenziali del 2000, le Torri Gemelle non sono state abbattute, non c’è stata la guerra in Iraq, e gli Stati Uniti sono sconvolti da una nuova guerra civile. Continua a leggere

Kazuo Ishiguro, Non Lasciarmi

Sono passati grossomodo cinque anni da quando, dopo aver visto in TV il film omonimo, mi ripromisi di leggere il romanzo Non Lasciarmi, dello scrittore britannico di origine giapponese Kazuo Ishiguro, pubblicato originariamente nel 2005. Trovai il film bellissimo, commuovente e malinconico, oltreché ben diretto e interpretato. E, ora posso dirlo, estremamente fedele all’originale.
Nonostante da un po’ di tempo abbia perso l’abitudine, oltreché il piacere (qualcuno inorridirà), nel leggere libri cartacei, il film mi piacque così tanto che decisi di acquistare proprio la versione cartacea del romanzo, vista l’indisponibilità del formato ebook. Pur conoscendone già la trama, speravo di trovare nel libro quegli approfondimenti, rispetto alle tematiche fantascientifiche, che nel film vengono soltanto sfiorate.
Caratterizzato da una bellissima immagine di copertina, purtroppo l’edizione del romanzo in mio possesso è stata stampata con un font particolarmente piccolo. È una caratteristica che mi dà tremendamente fastidio, nonostante non abbia seri problemi di vista. Continua a leggere

The Man in the Hight Castle – Amazon Video

Devo dirlo: superate le prime due o tre puntate, The Man in the Hight Castle s’è rivelata una gran bella serie, a tratti ottima. E, tutto sommato, abbastanza fedele rispetto al romanzo, al netto di alcuni adattamenti probabilmente indispensabili per una resa migliore su schermo.
Manca forse il protagonista forte, carismatico. Tuttavia vale la pena arrivare all’ultima puntata, anche soltanto per le emozioni che possono scaturire dalla visione di alcune sequenze, talmente forti e fedeli che paiono balzare fuori direttame dalle pagine del libro, così come Dick le aveva immaginate.

The man in the hight castle

Umberto Rossi – L’uomo che ricordava troppo

Quello di Umberto Rossi è un nome affermato nel panorama fantascientifico nazionale, e non solo. Critico, studioso, traduttore e, con questo L’uomo che ricordava troppo, anche autore, il Professor Rossi è uno dei massimi conoscitori internazionali della figura e dell’opera di Philip K. Dick, autore al quale chiaramente di ispira, per sua stessa ammissione, nella stesura di questo romanzo dal titolo hitchcockiano.
Tanti sono infatti i riferimenti e gli spunti che riprendono direttamente le tematiche care al celebre scrittore californiano, dall’impossibilità di definire chiaramente una realtà oggettiva, alla presenza di universi paralleli e “ortogonali”; dalla programmazione mnemonica alla costante paranoia dietro la quale personaggi del tutto anonimi si tramutano in anti eroi sui quali far gravare il destino di un universo pronto a cadere a pezzi dal un momento all’altro… Boooooom!!!
Mettendo da parte i toni enfatici che, sono sicuro, il Proff. NON apprezzerà, posso dire che l’Uomo che ricordava troppo s’è rivelata una lettura divertente, semplice, lineare… fino a un certo punto. Molto bella la prima parte, nella quale il protagonista, Johann Hagenström, cerca di far riemergere quei ricordi appartenenti a un passato che sente non appartenergli. O quanto meno non sembrano appartenere all’universo nel quale vive. Aiutato da uno psichiatra dai modi ambigui, Hagenström tenterà di mettere ordine nel proprio passato e proverà a dare una spiegazione a quei ricordi che lo vedono protagonista di situazioni impossibili: combattente nella Guerra Civile Italiana che vede affrontarsi comunisti e fascisti; umberto-rossi-l-uomo-che-ricordava-troppoagente segreto in libano; sperduto in una Puglia desertica insieme a una donna che sente di amare; artista ebreo rinchiuso in un campo di concentramento, sottoposto a terribili esperimenti per mano di uno scienziato folle.
Andando avanti con la lettura le cose si complicano, non poco. Nella seconda metà del romanzo tante, forse troppe, sono le parti in cui il protagonista tenta di spiegare quanto sta succedendo a lui e al mondo che lo circonda, e i dialoghi con gli altri attori della vicenda diventano eccessivamente lunghi, a mio modo di vedere, tanto che alcune pagine credo di averle lette senza la dovuta attenzione. Poco male. La storia rimane comunque godibile, impossibile interromperne la lettura. Cosa si vuole di più?

Tullio Avoledo, La Ragazza di Vajont

Questo articolo è stato scritto nel novembre 2008 e oggi – marzo 2016 – ripreso, rivisto e ampliato per la rivista online Adromeda.

Probabilmente non è il più originale, né il più diverte, tantomeno il più letto. Tuttavia, considero La Ragazza di Vajont il miglior romanzo scritto da Tullio Avoledo.
Seguendo un registro sottilmente cupo e poetico, Avoledo mette da parte il tipico e divertente cinismo che ha caratterizzato i personaggi delle sue opere precedenti, per raccontare la storia di un complice, un debole che sacrifica i propri ideali nella ricerca di un riscatto personale e di un appagamento delle proprie ambizioni, frustrate da una serie di eventi nefasti che la sua memoria non riesce a incasellare in un passato nebuloso. Una persona disposta a rinnegare le proprie idee e i propri valori al punto di vendere metaforicamente la propria anima al “diavolo”: il leader di un’Italia in rovina travolta dalla deriva reazionaria e xenofoba.
I temi trattati dallo scrittore pordenonese ricalcano più o meno quelli degli altri romanzi. In questo però le tematiche fantascientifiche (e più specificatamente quelle ucroniche) non vengono soltanto accennate come nei quattro precedenti (L’elenco telefonico di Atlantide, Mare di Bering, Lo Stato dell’Unione, Breve Storia di Lunghi Tradimenti) ma si integrano alla perfezione con la descrizione di una vicenda umana che vede il protagonista sedotto e ammaliato dalla femme fatale di turno; come negli altri romanzi troviamo infatti una sorta di Black Hair Girl di Dickiana memoria, anche se con i capelli biondi, meno cattiva e questa volta vittima – e non strumento – del potere. Ritroviamo un mondo dove le dittature fasciste hanno preso il sopravvento, come in una specie di seguito ideale de Lo Stato Dell’Unione, in un futuro alternativo nel quale fanno capolino alcuni elementi del nostro presente (e qui paiono nuovamente evidenti i riferimenti a P.K. Dick, scrittore letto e apprezzato da Avoledo). Continua a leggere

Giampietro Stocco, Nero Italiano

Finalmente mi sono deciso a leggere Nero Italiano, di Giampietro Stocco, libro che tenevo da un po’ di tempo nella lista dei desideri di Amazon e che, subito dopo l’acquisto, ha scavalcato la pila di letture arretrate che continuano a prendere polvere virtuale nella memoria del mio tablet.
In questo romanzo stazioniamo dalle parti dell’Ucronia “classica”, ossia quella che prevede la morte/sopravvivenza di questo o quel personaggio storico, o l’alterazione un determinato avvenimento cruciale. In Nero Italiano la storia si biforca a seguito di due avvenimento storici che prendono una piega diversa rispetto a come sono andate le cose nel “nostro” universo. La prima è la riuscita dell’attentato a Hitler da parte di Claus von Stauffenberg (e in effetti, visto come il dittatore tedesco sia riuscito a farla franca, ho come l’impressione che sia il nostro l’universo alternativo…), e la seconda è la mancata partecipazione dell’Italia al secondo conflitto mondiale.
Si tratta di POD (acronimo di Point of Divergence) già ampiamente utilizzati in ambito storico/divulgativo – quello di von Stauffenberg – e narrativo. Numerosi sono infatti i romanzi, soprattutto italiani, che prevedono il mancato coinvolgimento italiano nel secondo conflitto mondiale. Così, a memoria, mi vengono in mente i due scritti da Enrico Brizzi (quelli della trilogia inaugurata con L’Inattesa Piega degli Eventi), il ciclo Occidente di Mario Farneti, e il romanzo 1943. Come l’Italia Vinse La Guerra di Giovanni Orfei.
Tuttavia, del romanzo di Stocco è interessante l’analisi che fa l’autore dell’evoluzione del regime fascista a seguito della morte di Benito Mussolini nel 46 (evidentemente era comunque quello il suo destino…) e la designazione di Galeazzo Ciano quale suo successore. Spostando quindi di trent’anni in avanti l’ambientazione della storia rispetto alla fine del conflitto, siamo alle prese con un’Italia ancora sotto dittatura e governata da Ciano, ma senza il pugno di ferro del suocero e dei suoi gerarchi. In più, iniziano a prendere piede quei turbamenti politico sociali che nella nostra realtà sfoceranno poi nei sanguinari anni di piombo. Non solo: la situazione economica del paese, il livello di arretratezza tecnologico e l’emarginazione dallo scacchiere internazionale (in piena guerra fredda ma con la Germania governata da Albert Speer nel ruolo – molto attuale – di potenza continentale), e le rivolte scoppiate nelle colonie ai margini dell’Impero, rendono l’Italia un paese fragile, e vacillante il regime che la governa. Serve un cambio di rotta, una graduale apertura alla democrazia e ai rapporti internazionali, di cui si farà carico l’ambiziosa e ambigua Maria De Carli, unico ministro donna dell’esecutivo.
La narrazione si srotola tra un buon numero di personaggi, tra i quali spiccano – oltre a quelli già menzionati – il giornalista televisivo Marco Diletti (alter ego dell’autore?) e la giovane ribelle Silvia. Nonostante questo il romanzo rimane abbastanza breve, decisamente scorrevole e scritto alla perfezione.
Nei romanzi Ucronici è molto facile cadere nella tentazione di ricorrere all’infodump, e Giampietro Stocco non n’è esente. Purtroppo, nel creare un universo che non cada a pezzi (citazione…) dopo poche pagine, o si infilano le informazioni dove viene più comodo, o si fanno crescere a dismisura le dimensioni del romanzo. Questo lo so perché anch’io sto provando a scrivere qualcosa di ucronico che superi le dieci pagine, e rinunciare all’infodump e agli spiegoni non è per nulla semplice. Philip Dick c’è riuscito in The Man in the Hight Clastle, ma… era Philip Dick, e quel capolavoro rimane complesso per molti lettori. E poi basta con questa storia. Ok, siamo d’accordo che l’infodump sia il male, ma spesso è un male necessario, che per quanto mi riguarda, purché non se ne abusi, incide al massimo per mezza stella nella valutazione da uno a cinque di Amazon. E con Nero Italiano siamo a tre e mezzo abbondati 🙂

Philip Roth – Complotto contro l’America

Nella mia personale classifica, l’ucronia più bella l’ha descritta Philip K. Dick con il romanzo The Man In The Hight Castle (tradotto in Italia con i titoli “La svastica sul sole” e “L’uomo nell’alto castello”). Non ho dati certi alla mano, ma ho la sensazione che si tratti dell’ucronia più letta in assoluto, o forse della più famosa. Faccio pertanto un po’ di fatica a riuscire a rintracciare qualcosa che possa raggiungere i livelli artistici dell’unico romanzo di Philip Dick premiato con un riconoscimento importante (il premio Hugo nel 1963).
Dopo aver letto Complotto contro l’America di Philip Roth, ho forse scovato anche il secondo più bel romanzo ucronico della classifica. Forse a pari merito con Fatherland di Robert Harris (ma l’ho letto troppo tempo fa per poter fare un paragone). E ora che ci penso anche La macchina della realtà di William Gibson e Bruce Sterling non era male. Meglio lasciar perdere la classifica, ho l’impressione che se ci penso ancora un po’ potrebbero venirmi in mente altri romanzi ucronici che meritano il podio.
Dopo l’entrata in guerra di Francia e Inghilterra contro la Germania Nazista, negli Stati Uniti d’America la popolazione si divide tra interventisti e neutralisti. Il presidente Franklin Delano Roosevelt, pur condannando l’aggressività tedesca, temporeggia. Ne approfitta un personaggio a quei tempi all’apice del successo: il celebre aviatore Charles Lindbergh, il primo ad effettuare la trasvolata atlantica in solitario sul monoplano Spirit of St. Luis. Si da il caso che Lindbergh sia anche un simpatizzante Hitleriano (dal quale riceverà un’onorificenza) e nutra sentimenti antisemiti. Il corso della storia cambierà quando Lindbergh deciderà di sfidare Roosevelt alla elezioni presidenziali.
Phlip Roth, scrittore ebreo vincitore del premio Pulitzer con il romanzo Pastorale Americana, mischia sapientemente elementi autobiografici con personaggi, anche minori, realmente esistiti, catapultati in una realtà alternativa più che plausibile. A volte i personaggi del racconto appaiono caricaturali, forse anche volutamente, mentre un sottile (molto sottile) umorismo permea le pagine del libro. Alcuni momenti drammatici fanno fatica ad impressionare il lettore, ma ciò penso sia voluto, considerata la narrazione in prima persona delle gesta e dei ricordi di bambino delle elementari. Un’ottima lettura, che pur trattando personaggi e temi complessi può essere affrontata in spiaggia sotto l’ombrellone.
Cosa si vuole di più dalla vita?

Enrico Brizzi – L’inattesa piega degli eventi

Dopo la delusione Alan D. Altieri per fortuna è arrivato questo romanzo. Scritto decisamente bene, con uno stile semplice e spiritoso, “L’inattesa piega degli eventi” di Brizzi può essere considerato un’ottima lettura estiva per chiunque, e una vera e propria sorpresa per gli amanti del genere ucronico. Nonostante le oltre 500 pagine (forse un po’ troppe…) il libro scorre via bene sino al finale, in fin dei conti non così banale come ci si sarebbe potuti aspettare. Il personaggio che narra la storia in prima persona è a tratti un po’ troppo caricaturale, e mai emerge un qualche tipo di spessore drammatico. Ma trattandosi di un lettura leggera, come detto all’inizio, non ci si aspettano particolari introspezioni o laceranti conflitti interiori.
La trama è apparentemente semplice: la solita ucronia dove l’Italia fascista ha vinto la seconda guerra mondiale prendendo le distanze dalla Germania di Hitler, Mussolini è rimasto al potere mentre gerarchi e ribelli si scontrano per gestirne l’imminente dipartita. In questo romanzo tuttavia la ricostruzione fanta storiografica lascia il passo alle vicende del protagonista, giornalista sportivo donnaiolo, “esiliato” dal proprio editore nelle colonie italiane del Corno D’Africa per seguire il campionato di calcio della Serie Africa e accompagnare la squadra vincente al torneo delle sette nazioni che si terrà a Roma. E alla fine si parla soprattutto di questo, delle squadre di soli bianchi appoggiate dai fascisti, del razzismo di alcuni e dell’integrazione di molti, degli equilibri e della miseria.
Dopo aver iniziato e non finito secoli fa la lettura di “Jack Frusciante è uscito dal Gruppo”, posso dire con piacere di aver scoperto un nuovo Enrico Brizzi, che con la sua incursione in un genere non facile, anche se molto in voga, è riuscito a non cadere mai nel banale. E scusate se è poco…