Archivi tag: Distopia

Kazuo Ishiguro, Non Lasciarmi

Sono passati grossomodo cinque anni da quando, dopo aver visto in TV il film omonimo, mi ripromisi di leggere il romanzo Non Lasciarmi, dello scrittore britannico di origine giapponese Kazuo Ishiguro, pubblicato originariamente nel 2005. Trovai il film bellissimo, commuovente e malinconico, oltreché ben diretto e interpretato. E, ora posso dirlo, estremamente fedele all’originale.
Nonostante da un po’ di tempo abbia perso l’abitudine, oltreché il piacere (qualcuno inorridirà), nel leggere libri cartacei, il film mi piacque così tanto che decisi di acquistare proprio la versione cartacea del romanzo, vista l’indisponibilità del formato ebook. Pur conoscendone già la trama, speravo di trovare nel libro quegli approfondimenti, rispetto alle tematiche fantascientifiche, che nel film vengono soltanto sfiorate.
Caratterizzato da una bellissima immagine di copertina, purtroppo l’edizione del romanzo in mio possesso è stata stampata con un font particolarmente piccolo. È una caratteristica che mi dà tremendamente fastidio, nonostante non abbia seri problemi di vista. Continua a leggere

Fabio Lastrucci, Utopia Morbida

Riproposto da Delos Digital nella collana Robotica, Utopia Morbida dell’artista napoletano Fabio Lastrucci è un racconto lungo, tipicamente distopico, ben scritto, veloce e originale, che forse avrebbe meritato qualche pagina in più, se non addirittura lo sviluppo in forma di romanzo.
L’idea di fondo è decisamente interessante: in un’Italia governata da un regime dispotico con evidenti richiami al ventennio, in un’ambientazione che potrebbe essere considerata vagamente ucronica, alcuni gruppi di ribelli entrano in clandestinità in un modo alquanto singolare, che ha a che fare con le teorie metafisiche e psichedeliche del celebre scrittore inglese Aldous Huxley. Continua a leggere

Alessandro De Roma, La Fine dei Giorni

Alessandro De Roma è un giovane autore Sardo, già tradotto all’estero, i cui ultimi lavori sono stati pubblicati da EinaudiLa Fine dei Giorni è la sua seconda opera, pubblicata da Il Maestrale nel 2008, che segue di un anno Vita e Morte di Ludovico Lauter, ottimo esordio apprezzato dalla critica.
Romanzo distopico e apocalittico al tempo stesso, ne La Fine Dei Giorni De Roma racconta una storia sicuramente fantascientifica ma con solide basi nel nostro presente, proiettato in un futuro non troppo distante dai nostri giorni.
Il protagonista e io narrante è Giovanni Ceresa, un insegnate quarantenne dal carattere riflessivo, a tratti pavido e incline alla malinconia. Le vicende prendono il via dall’improvvisa sparizione del signor Baratti, un pensionato che abita nel condominio in cui risiede lo stesso Ceresa. Gli abitanti del condominio non sembrano aver fatto caso alla strana sparizione, e molti addirittura non ricordano l’anziano signore. Lo stesso Ceresa, col passare dei giorni, si rende conto di non riuscire a mantenere vivo il ricordo del suo vissuto quotidiano. Inizia così a tenere un diario, dove registra tutto quello che gli capita e che vale la pena ricordare, nella speranza di riuscire a dare un senso agli eventi di cui non sa di essere ignaro protagonista. Quella di Baratti infatti non è l’unica sparizione dimenticata, mentre in una Torino sapientemente descritta si moltiplicano le persone in preda alla demenza, gruppi di senzatetto più o meno lucidi vagano per le strade, orde di cannibali abitano i cimiteri e bande di delinquenti militarizzati si barricano nei centri commerciali. Continua a leggere

Margaret Atwood, Per Ultimo il Cuore

Lettura leggera e divertente, quest’ultimo romanzo distopico della Atwood può essere sfogliato tranquillamente sotto l’ombrellone, in metropolitana, una pagina al giorno, mollato e ripreso. Scritto ottimamente e tradotto molto bene, senza inutili virtuosismi e pesanti approfondimenti, di questo libro si apprezzano in primo luogo l’ironia – a volte macabra – e il sense of humor della celebre scrittrice canadese, che ricordo è stata più volte candidata al Nobel, messi a disposizione di una trama semplice e lineare, con colpi di scena non troppo a effetto, e che qua e la pecca in verosimiglianza. Ma questo è voler spaccare il capello in quattro. Il romanzo risulta comunque godibile, capace – se non di stupire – almeno di strapparci qualche sorriso.
In in futuro abbastanza vicino al nostro presente, la crisi economica globale precipita vaste aree degli Stati Uniti d’America, soprattutto il Nord Est, in una situazione di degrado, pericolo costante e povertà estrema. Continua a leggere

Giampietro Stocco, Rigenerazione

Con il racconto Rigenerazione, Giampietro Stocco compie un deciso balzo in avanti, spostandosi dalle complicate (ma non per lui…) ambientazioni ucroniche a quelle per certi versi più semplici e comode (ma non per me…) della distopia classica.
La vicenda è ambientata in un futuro in cui l’umanità è sopravvissuta a una non meglio precisata Svolta, un qualche genere di cataclisma o sconvolgimento economico o sociale, e nel quale gli esseri umani hanno acquisito la capacità di rigenerare quelle persone che, per qualche motivo, non riescono a evitare la morte.
Leda è una rigeneratrice, una Persona, e come tutti i suoi pari considera i Cosi, i rigenerati, animali da soma incapaci di provare dolore e sentimenti. Schiavi, ne più ne meno, immemori del loro passato.
giampietro stocco, rigenerazioneSarà tuttavia la curiosità della protagonista a condurla dove i cosi abitano e vivono, a osservarne i comportamenti, a cercare di capirne il linguaggio finché, accompagnata da uno di loro, li assisterà nel miracolo tanto spirituale quanto terreno della nascita. E qui mi fermo, altrimenti rischio di rivelare troppo di un racconto da poche decine di pagine.
Aggiungo soltanto che nella figura dei Cosi, dei rigenerati, mi sembra di aver colto parte di quelle suggestioni che caratterizzano buona parte della narrativa dedicata agli Zombie, al netto delle scene di cannibalismo e senza ricorrere a virus mutanti o a riti voodoo. Ma potrei sbagliarmi.
Una buona lettura, veloce e lineare. Un mondo creato in poche pagine che Stocco riesce a dipingere direttamente nella mente del lettore. Consigliato.

Luca Doninelli, Le Cose Semplici

Questo articolo è stato scritto originariamente il 5 gennaio 2016 e oggi – settembre 2016 – ripreso, rivisto e ampliato per la rivista online Adromeda.

Erano i primi giorni di novembre dello scorso anno quando, grazie a una semplice ricerca su Google, mi imbattei casualmente in questo romanzo. Sul momento non mi accorsi del fatto che si trattava di una nuova uscita, pubblicata da Bompiani da poco più di un mese, e visto lo scarso numero di recensioni su Amazon, oltre al fatto di non averne mai sentito parlare, pensai che probabilmente il libro non avesse avuto nessun successo commerciale e fosse stato snobbato dalla critica. Poco male: letta la sinossi decisi di scaricarne l’estratto.
Fin dalle prime righe notai che il libro era scritto benissimo , con uno stile semplice ma non per questo “povero”. Grazie a un’altra breve ricerca vengo a sapere che Luca Doninelli, giornalista che scrive su testate che solitamente non leggo, ha vinto in passato un Campiello e un Grinzane Cavour, il che non è detto sia una garanzia, ma insomma…
Finalizzai l’acquisto senza rendermi conto che si trattava di un mattone da 840 pagine. E per fortuna, aggiungo, altrimenti – spaventato dalla mole – avrei anche potuto lasciar perdere. Purtroppo non leggo più come una volta, e salvo vacanze e occasionali tempi morti, mandar giù 840 pagine leggendo esclusivamente a letto e durante qualche altro momento intimo sul quale è meglio non dilungarsi, equivale a dire che ci sarebbe voluto grossomodo un mese e mezzo per arrivare all’ultima pagina.
Invece ci sono voluti meno di trenta giorni e alla fine non s’è rivelata, tutto sommato, una lettura faticosa. Vero è che su Facebook mi ricordo di aver scritto un “Ma che fatica!”, riferito alle prime 3/400 pagine, ma s’è trattato di un’esclamazione dettata dall’aver perso l’abitudine ad affrontare romanzi così lunghi.
Il libro è scritto in forma di quaderni di memorie, con capitoli brevi e spesso scollegati l’uno dall’altro, se non con i rimandi affidati ai ricordi del protagonista/narrantore.
Provo a sintetizzare la storia: ci troviamo in un futuro apocalittico – ambientato inizialmente a Milano e Parigi, e dalla metà in poi in gran parte negli USA -, grossomodo a ventidue anni da oggi, in una Terra che deve fare i conti col crollo della civiltà dovuto all’evoluzione iperbolica dell’attuale crisi economica. Crisi che sfocerà in un progressiva quanto repentina interruzione delle trasmissioni audio e video, delle comunicazioni, dell’erogazione di elettricità, della disponibilità di petrolio e carburanti. Seguiranno un breve periodo in preda alla barbarie e una successiva stabilizzazione verso una convivenza pacifica ma non priva di rischi. Questa è l’ambientazione, ma il romanzo in realtà racconta soprattutto la storia d’amore tra il protagonista e un genio della matematica: una ragazza francese di famiglia strettamente cattolica, appena quindicenne nel giorno del loro primo incontro. Lui giovane laureato di estrazione borghese e lei già docente alla Sorbona. Storia d’amore che li condurrà all’altare non appena lei raggiungerà la maggiore età, e interrotta pochi anni dopo dal sopraggiungere improvviso dell’apocalisse.

“Ci fu un preciso momento (nessuno saprebbe dire quale) in cui quelli che avevano pensato di controllare il mondo decisero di mandarlo al diavolo”

Lei si ritroverà da sola negli Stati Uniti, e li darà il via a una sorta di utopia grazie alla quale la civiltà potrà continuare – forse – ad avere un futuro, mentre lui nel frattempo si trova intrappolato in una Milano in rovina, tra orrori e barlumi di speranza. Qui inizierà a scrivere i suoi quaderni, nei quali racconterà le vicende della sua famiglia (romanzo nel romanzo), della sua relazione con una ragazza anch’essa conosciuta da bambina, figlia di una sua ex amante, poi ritrovata adulta dopo l’apocalisse e con la quale concepirà un figlio: non l’unico…
Se vado avanti rischio di rivelare troppe cose, ma va detto che Le Cose Semplici non è un solo romanzo: sono tante storie, tante vite, tanti dialoghi sapientemente e magnificamente costruiti. Dialoghi che trattano di letteratura, religione, filosofia, politica. Dialoghi caratterizzati da una sottile ironia di fondo, a tratti spassosa.
Non è facile per me recensire questo libro: i temi trattati sono così tanti e così “importanti” che potrei non avere una preparazione culturale sufficiente per scriverne come si deve.
Ho letto qualche altra recensione de Le Cose Semplici. Qualcuno è arrivato a dire che è il romanzo italiano più importante del 2015. E siccome, nonostante l’autore non sia uno scrittore di genere, si tratta a tutti gli effetti di un romanzo di fantascienza distopica (ma anche, come già detto, utopica), mi sembra strano, molto strano, che nell’ambiente della SF nostrana non se ne sia parlato per nulla.
Dimenticavo: preso dall’entusiasmo mi sono scordato dei difetti, che pure ci sono. Uno su tutti il finale, carino ma non all’altezza del resto. E poi ho trovato eccessiva la brevità delle storie narrate nelle ultime cento pagine. Ma su questi due punti si può e si deve sorvolare.

Paolo Zardi, XXI Secolo

Questo articolo è stato scritto originariamente il 29 settembre 2015 e oggi – giugno 2016 – ripreso, rivisto e ampliato per la rivista online Adromeda.

L’estate scorsa, grazie a una banale ricerca su Google, casualmente mi sono imbattuto nella recensione pubblicata sul Fatto Quotidiano del romanzo XXI Secolo di Paolo Zardi, scrittore che non conoscevo, nonostante proprio con quest’opera sia stato candidato al Premio Strega (ammetto di non prestare particolare attenzione alle kermesse letterarie). A distanza di nove mesi dalla sua lettura, non posso fare a meno di rilevare che, salvo sporadiche eccezioni, anche questo libro, indubbiamente SF ma di provenienza mainstream, sia stato discretamente snobbato dagli utenti delle community web e social che hanno a che fare con il nostro genere letterario preferito.
Il romanzo di Zardi, come tanti altri recensiti in questa rubrica, è ambientato in un futuro non molto lontano dal nostro presente. Per via di alcune evoluzioni geopolitiche a mio avviso abbastanza improbabili, per lo meno nell’immediato (Brasile potenza imperialista e nucleare, Cina e Russia ai ferri corti e sull’orlo di una guerra, Stati Uniti ridimensionati a ruolo di comprimari nello scacchiere internazionale) mi piace considerare la storia come ambientata in un universo alternativo, a prescindere dalle quelle che solo le reali intenzioni dell’autore.
L’economia, manco a dirlo, è peggiorata a livelli apocalittici, tanto che improvvisi e pericolosi black out della durata di qualche giorno colpiscono a caso intere regioni, gettandole nottetempo in preda al caos e alla barbarie.
In questo paesaggio dipinto a tinte fosche, caratterizzato da periferie urbane decadenti, senso di pericolo costante, ritorno alla pena di morte e gatti che chissà perché diventano sempre più rari, si muove l’anonimo protagonista del racconto: un rampante venditore porta a porta di depuratori d’acqua, sposato con Eleonore – una bella donna di origine austriaca -, e padre di un bambino e di una ragazza poco più che adolescente.
A inizio racconto, con una tipica apertura in media res, veniamo a sapere che Eleonore è stata colpita da un ictus fulminante, a causa del quale cade in uno stato di coma profondo, apparentemente non definitivo. Il protagonista si trova pertanto costretto ad affrontare la personale sofferenza dovuta alla situazione drammatica nella quale si trova la moglie, che indubbiamente ama, oltre a tutte le problematiche connesse al dover portare avanti il lavoro e prendersi cura dei figli.
Tragedia nella tragedia, irrompono nella storia un mazzo di chiavi di provenienza sconosciuta e un cellulare nascosto nel cassetto della biancheria. Dentro la memory card del cellulare, reso inaccessibile dalla presenza di un codice pin, l’uomo trova una serie di foto pornografiche che ritraggono Eleonore in compagnia di uno sconosciuto.
Dalla tragedia al dramma, umano e sentimentale, il passo è breve, e da qui in poi il protagonista inizierà la sua ricerca di una verità nascosta, intraprendendo un viaggio in parte on the road e in parte interiore, dove sarà costretto ad affrontare situazioni estremamente pericolose che, unite a un costante e opprimente senso d’angoscia, ne metteranno a dura prova l’integrità fisica e la salute mentale.
Gran bel romanzo, scritto benissimo e con un finale commuovente. Benché, come ho scritto all’inizio, il contesto geopolitico e lo scenario socioeconomico sembrino vacillare (forse sarebbe stato opportuno un maggiore approfondimento, che l’autore credo abbia scientemente evitato per limitare il ricorso all’infodump), ritengo XXI Secolo di Paolo Zardi una lettura imprescindibile per gli amanti del genere distopico.

Walter Tevis – Solo il mimo canta al limitare del bosco

La lettura de Solo il mimo canta al limitare del bosco di Walter Tevis ha portato la mia memoria in dietro di decenni. Anni eroici nei quali passavo il tempo a scartare i pacchi postali che il postino mi recapitava con cadenza quasi settimanale. All’epoca ero cliente abituale di Nord e Fanucci, ma acquistavo anche i volumi di collane già estinte ma col servizio arretrati ancora attivo, come la celebre Galassia de l’Editrice La Tribuna. Frequenti erano le mie scorribande per librerie e edicole, dove facevo incetta di Urania e Oscar Mondadori come se non ci fosse un domani, e non disdegnavo le edizioni rilegate Mondadori e Rizzoli.
Il tutto durò meno di dieci anni, poi iniziai a lavorare stabilmente e i ritmi di lettura inevitabilmente calarono, finché non mi bloccai quasi del tutto: tra il 1997 e il 2002 lessi davvero poco, per poi riprendere gradualmente ma senza quegli eccessi giovanili.
Walter Tevis lo scoprii intorno ai primi anni ’90, quando lessi del tutto casualmente, e a poca distanza l’uno dall’altro, l’antologia Lontano da Casa e i due romanzi L’Uomo che Cadde sulla Terra (capolavoro assoluto, così come il cult movie con David Bowie che ne è stato tratto qualche anno dopo), e l’ottimo A Pochi Passi dal Sole, libro pubblicato su Urania una volta soltanto, nel 1992, e che a mio avviso sarebbe il caso finalmente di riproporre.
In pratica, 4/3 della produzione fantascientifica di Tevis l’avevo già fatta mia più di 25 anni fa, e mi mancava soltanto questo Solo il mimo canta al limitare del bosco. Per qualche motivo, tuttavia, ne rinviai per troppo tempo l’acquisto. Probabilmente l’editore Nord all’epoca non lo aveva più in giacenza, in libreria non si trovava più, e l’osceno titolo Futuro in Trance*, con il quale Mondadori lo ripropose in un paio di edizioni Urania e in un Oscar, me lo resero indigesto. Errore madornale.
Ho acquistato questo libro in ebook qualche mese fa, ciononostante l’ho messo in coda per dedicarmi alla lettura di alcuni romanzi più recenti. Purtroppo, passati gli anni eroici di cui sopra, ho perso interesse verso la fantascienza “vecchia”, per via del fatto che buona parte di quanto scritto fino all’inizio degli anni ottanta risulta ormai superato dal punto di vista tecnologico. Certo, non ci sono ancora in viaggi intergalattici, ma le tecnologie che hanno a che fare col quotidiano hanno reso eccessivamente obsolete buona parte delle previsioni fatte dai gradi scrittori di SF, fino a farle apparire estremamente ingenue, e questo un po’ mi fa storcere il naso. Per fortuna, prima di maturare nuovi interessi, di buona fantascienza posso dire di averne letto davvero tanta.
Mi mancava giusto Il mimo: un romanzo stupendo, malinconico, a tratti struggente e con un finale bellissimo, che m’ha fatto accapponare la pelle (letteralmente, reazione che ho sperimentato in vita mia non più di una decina di volte, una volta arrivato alla fine di un libro).
Tuttavia, prima che il libro iniziasse a ingranare, ci sono voluti almeno quattro o cinque capitoli di “assestamento”. Dopodiché, la voglia di riprendere il libro in mano ad ogni minima occasione s’è fatta irrefrenabile.

La sinossi in poche parole, senza spoiler: tra qualche centinaio di anni, in una Terra ormai spopolata, gli uomini vivono un’esistenza tranquilla: le droghe legali, la privacy, il “sesso rapido” ed una relativa stabilità economica, rendono la vita di ogni singolo individuo tanto semplice quanto piatta e monotona, e l’unica alternativa allo status quo consiste nell’immolarsi, bruciarsi vivi, come sempre più persone scelgono di fare, senza che questo desti il minimo interesse.
Il tutto viene regolato, controllato e pianificato dai Robot, di cui Spofforth ne rappresenta l’esemplare più evoluto. Dalle bellissime sembianze perfettamente umane, ma privo di organi genitali, Spofforth, creato per servire gli uomini e al quale vengono assegnati col tempo incarichi sempre più importanti e determinanti per le sorti del pianeta, vorrebbe porre fine alla proprie esistenza, ma la sua programmazione glielo impedisce: finché ci saranno uomini sulla terra, lui dovrà vivere per servirli.
Paul Bentley è invece un professore universitario (alter ego dello scrittore?) che su incarico di Spofforth visiona decine di vecchi film, e per capire il senso delle didascalie dei primi film muti, rimpara a leggere e scrivere, abilità ormai perse nel futuro immaginato da Tevis (ho fatto un po’ fatica, dal punto di vista logico/scientifico, a digerire questo aspetto del romanzo).
Mary Lou è invece una giovane donna, una vagabonda che in qualche modo è riuscita a sottrarsi al “controllo” e a vivere indipendentemente. Paul incontra Mary allo zoo, uno zoo finto, dove animali e bambini sono in realtà dei robot.
I due iniziano una relazione. Grazie agli insegnamenti di Paul, anche Mary Lou impara a leggere e scrivere. Ma Spofforth non può permettere tutto questo, e farà in modo che Paul venga processato e imprigionato in un carcere da dove poi tenterà la fuga. Spofforth porta Mary Lou a vivere con se, e lei nel frattempo scopre di aspettare un bambino: sarà l’ultimo esemplare della razza umana, in un mondo giunto al capolinea e dove i bambini non esistono più?solo il mimo canta al limitare del bosco
Il romanzo è narrato alternativamente in prima persona da Paul e Mary Lou , mentre i capitoli dedicati a Spofforth vengono narrati in terza persona. L’alternanza dei punti di vista non fa che impreziosire la lettura dell’opera.
L’edizione è corredata da una ricca prefazione di Goffredo Fofi (da leggere DOPO aver letto il romanzo), una presentazione (abbastanza inutile) di Jonathan Lethem e da un profilo bio-bibliografico.
Aggiungo infine che benché non possa pretendere che questo libro piaccia a tutti, ritengo che meriti il suo posto nella libreria di ogni vero appassionato di fantascienza. Si tratta di un vero classico del genere, un romanzo importante scritto sulla scia del Il Mondo Nuovo, 1984 e soprattutto Fahrenheit 451. Fidatevi.

* Non si offenda nessuno, specie se tra i miei “amici” su FB…

Mauro Corona – La Fine del Mondo Storto

Questo articolo è stato scritto originariamente l’8 dicembre 2010 e oggi – maggio 2016 – ripreso, rivisto e ampliato per la rivista online Adromeda.

Con La Fine del Mondo Storto di Mauro Corona non abbiamo a che fare con un romanzo vero e proprio, e neanche con un saggio. Quella che ci racconta lo scrittore è invece una bella fiaba, priva del classico lieto fine. Il tema apocalittico (il solito tema apocalittico, verrebbe da dire, tanto caro agli scrittori mainstream), è stato sviluppato da Corona senza l’ausilio di rigorosi studi scientifici, analisi sociologiche o proiezioni storiografiche.

Semplicemente, Corona immagina che un giorno, d’improvviso, i combustibili fossili spariranno dalla faccia della Terra, con tutte le conseguenze nefaste del caso. Il tema era già stato trattato dal celebre scrittore/alpinista qualche anno prima, in forma di racconto, e pubblicato nelle pagine culturali de La Repubblica.
Corona auspica un ritorno dell’uomo alla natura, sennonché è proprio la natura, in questo caso quella umana, ad apparire inesorabilmente votata all’autodistruzione.

Il libro è privo di protagonisti veri e propri, i dialoghi sono rari e non esiste un unico filo conduttore, un plot, che leghi le tante vicende narrate dall’autore. Semplicemente, si tratta della cronistoria di tutto quello che accadrà quando mancherà l’energia elettrica, si spegneranno le luci, e l’uomo non saprà più come fare per riscaldarsi e sfamarsi. I sopravvissuti dovranno pertanto imparare a procurarsi il cibo, piantare un orto, seminare i campi, accendere e mantenere vivo un fuoco. E dovranno farlo con la giusta umiltà, e con il rispetto dovuto a chi può trasmettere tutti questi insegnamenti. I furbi e gli approfittatori, manco a dirlo, non fanno una bella fine.

Ovviamente lo sguardo che Corona rivolge al futuro deriva dalla sua visione politica, il che è evidente nella descrizione di certi personaggi che paiono ispirati ad alcune figure istituzionali e imprenditoriali del nostro presente facilmente identificabili. Così come chiaro e inequivocabile è il giudizio che ne dà l’autore, che tuttavia non si limita a criticare tali figure, ma estende le sue valutazioni verso intere categorie sociali. Corona ne ha per tutti: giornalisti, ingegneri, padroni e tecnocrati, e nel farci capire quale considerazione abbia di questi individui è decisamente schietto, come ci si aspetta da lui. Soltanto contadini e montanari paiono a loro agio nel nuovo mondo post apocalittico, e Corona li mette in un piedistallo, facendone i nuovi padroni del mondo, quelli ai quali rivolgersi (con rispetto, e senza dargli troppo fastidio) per imparare a sopravvivere.

Lettura leggera, a tratti divertente, spesso comica, saltuariamente ripetitiva. Gradevole lo stile di scrittura, anche se a volte l’autore indugia un po’ troppo in elenchi e sinonimi.

Vale la pena affrontare la lettura di questo libro, consci del fatto che non si è di fronte a un capolavoro, aggettivo spesso utilizzato per definire altre opere di Corona. Un buon libro, insomma, niente di più e niente di meno.

Alessandro Bertante – Nina dei Lupi

Questo articolo è stato scritto originariamente il 16 aprile 2011 e oggi – aprile 2016 – ripreso, rivisto e ampliato per la rivista online Adromeda.

Viene facile accostare Nina dei Lupi di Alessandro Bertante a L’Uomo Verticale di Davide Longo. È stato d’altra parte lo stesso Bertante a omaggiare e allo stesso tempo prendere le distanze dal romanzo di Longo: “Ci sono delle assonanze con La Strada di McCarthy e il recente ‘L’uomo verticale’ di Davide Longo, ma il mio percorso è diverso, non è ‘classico’. Mi sono ispirato ad alcuni testi di antropologia culturale e alla mitologia dell’arco alpino, che ha un’origine addirittura neolitica*”. Un semplice lettore come me, invece, non può fare a meno di notare che i due romanzi, benché diversi, sembrano costruiti lungo la stessa linea temporale. Volendola sparare grossa si può dire che Nina dei Lupi può essere letto come il seguito de L’Uomo Verticale.
Il romanzo di Longo è ambientato nel bel mezzo della prima ondata di barbarie scatenatasi a seguito di sconvolgimento sociale che ha annichilito istituzioni e forze dell’ordine. Le vicende narrate da Bertante invece sembrano svolgersi qualche anno dopo ed hanno per protagonisti alcuni abitanti di un villaggio di montagna isolato dal resto del mondo. Un mondo ormai in rovina abitato da piccole comunità che, scendendo a compromessi con la loro natura pacifica, sono costrette a impugnare le armi e difendersi dalle bande di violenti.
Se quello di Longo è in prevalentemente un romanzo “on the road”, Bertante concentra l’azione in mezzo alla natura, tra le montane, con le sue leggende e i suoi riti ancestrali, gli stessi ai quali l’autore stesso fa riferimento nella citazione dell’intervista sopra riportata.
Altra differenza consiste nella natura stessa dei protagonisti: quello principale de “L’Uomo Verticale” è in fin dei conti una persona mite, un intellettuale decaduto con un passato di successo, che durante lo svolgersi degli eventi dovrà imparare a sopravvivere e a proteggere le persone a lui care, abdicando alla propria natura pacifica e passiva. I personaggi di Bertante, dalla psicologia ben delineata, hanno invece qualcosa di eroico e mitologico. Addirittura epico, tanto che, come ha fatto notare lo scrittore Giovanni Cocco nella sua recensione pubblicata su Carmillaonline.com, il romanzo riecheggia alcune atmosfere tipiche dei racconti fantasy**.
Riassumo in breve la breve la trama: a seguito di un cataclisma non meglio precisato che ha fatto mutare il colore del cielo e che ha sprofondato il pianeta (o quantomeno l’Italia) nell’anarchia e nella barbarie, alcuni abitanti del villaggio di Piedimulo vivono in perfetto isolamento, dopo aver distrutto l’unico passaggio agibile tra le montagne: soluzione estrema che non sarà sufficiente a fermare una banda di predoni incline alla violenza e al sadismo, composta da persone un tempo normali e appartenenti a un’umanità eterogenea, che col precipitare degli eventi hanno dato libero sfogo ai loro peggiori istinti. Il gruppo prenderà possesso del paese decimandone brutalmente la popolazione e schiavizzando i sopravvissuti. Tra questi una bambina in procinto di diventare donna, già scampata ai disordini scoppiati in città, che riuscirà a fuggire nel bosco fino a rifugiarsi presso una sorta di eremita con passato cittadino. Un solitario che vive di caccia e provviste nella sua baita in mezzo al bosco. Insieme a loro vivono i lupi, i veri padroni della montagna.
Benché nel complesso abbia preferito L’Uomo Verticale, anche Nina dei Lupi è un gran bel romanzo, finalista del premio Strega e dal buon riscontro di critica e pubblico.
Il romanzo è caratterizzato da un buon ritmo, è abbastanza breve e si legge tutto d’un fiato. Se proprio gli si vuole trovare qualche difetto, posso dire che a tratti Bertante indugia troppo su una narrazione di stile fiabesco, anche in quei passaggi che, per contro, meriterebbero una prosa maggiormente realista. Penso ad esempio al racconto dello scoppio delle violenze che fanno da preludio al crollo della civiltà. Altre parti invece, finale compreso, vengono liquidate troppo velocemente, senza l’approfondimento che avrebbero meritato. Ma sarebbe davvero il voler trovare il capello nell’uovo.

* Intervista pubblicata su affaritaliani.it, 2 marzo 2011, a cura di Antonio Prudenzano
** Recensione pubblicata su carmillaonline.com, 11 marzo 2011, a cura di Giovanni Cocco